La poesia della Resistenza francese nel dibattito sulle riviste italiane del Dopoguerra

  • Fabrizio Miliucci Roma Tre

Abstract

 


Attraverso uno spoglio delle principali riviste letterarie pubblicate negli anni 1944-1946, l'articolo si propone di valutare la ricezione della poesia francese in Italia in merito allo specifico tema della resistenza e dell'impegno civile, nell'ambito del complesso dibattito letterario occorso nel paese a partire dal secondo dopoguerra. Verrà analizzata con particolare attenzione la formazione di un “canone francese della resistenza”, da verificare sulla più ampia prospettiva del secolo XX, cercando di rispondere a quesiti come: quali autori, quali opere e con quale fortuna hanno influenzato l'attività degli operatori culturali italiani? Quali ripercussioni ha subito il lavoro di “import” letterario dal dibattito sulla resistenza? Quale è stato, in merito, l'atteggiamento dei maggiori poeti italiani vicini alla poesia francese e, non di rado, impegnati in prima persona in attività editoriali o di traduzione?


 


A partire dal 1944, sulla risorta stampa periodica italiana si aprì un dibattito sulla valenza della cultura nella società del ventennio appena trascorso. In questo ragionamento a più voci, la pertinenza letteraria, assorbita nel dibattito etico-politico, svolse un ruolo fondamentale. L'oggetto su cui si esercitò ogni riflessione di carattere artistico e culturale sulle pagine di riviste come “Aretusa”, “Rinascita”, “Il Politecnico” e molte altre – tanto da posizioni conservative quanto da posizioni progressiste – fu lo statuto dell'artista in rapporto alle ragioni della società, il suo atteggiamento di fronte agli avvenimenti storici, la validità stessa del suo mandato. La storia recente fu discussa in vista di una rifondazione del rapporto fra élite culturale e popolo.


A finire sotto il tiro di chi avanzava apertamente una condanna, con la conseguente richiesta di un radicale rinnovamento, fu l'atteggiamento di quanti, durante gli anni della dittatura, si erano sentiti svincolati da una responsabilità diretta, anche se sul piano intimo ed esistenziale avevano lungamente scontato il peso di un' “assenza” favorita dalle sempre più stringenti pratiche repressive. La poesia scaturita da questo atteggiamento esistenziale, conforme alla prescrizione crociana sull'autonomia della fantasia creatrice, diventò il vero oggetto della polemica e il tono di una compartecipazione intima e privata come effetto di una resistenza passiva all'avanzata della storia non poté più essere recepito come valido.


In questo clima di dibattito e confronto, matura un paragone – talvolta evocato esplicitamente, talaltra solo alluso – con la coeva poesia francese, assunta come una sorta di modello ideale di partecipazione e resistenza. A quest'idea rispondono molto tempestivamente autori come Eugenio Montale, il quale nel 1944 scrive: «Quattro anni di servitù son costati alla Francia democratica una serie di tradimenti assai maggiore di quelli che all'Italia del fascismo vero e del fascismo posticcio furono consentiti da un periodo di prova più breve. “Pari siamo” dunque, amici francesi: senza recriminazioni e riserve mentali. E così non avessimo mai più nulla da credere, nulla da rivendicare nei confronti della sorella latina che fu più a lungo sofferente e conobbe più rapida la gioia del riscatto». Perché la necessità di una tale affermazione? A quale sottinteso del discorso corrente allude un riferimento così diretto, e quasi piccato, al destino né più nobile né meno disdicevole della “sorella latina”?


Al rifiuto di qualunque confronto pronunciato da Montale, sembra fare da contraltare un'altra dichiarazione, datata 1946, di un poeta appartenente alla generazione successiva. Queste sono le parole del trentaquattrenne Giorgio Caproni, sempre in merito allo stesso argomento: «No, miei cari e illustri colleghi francesi, non abbiamo avuto come voi una letteratura della resistenza. È colpa? È segno di estremo pudore? È sfiducia di poter rendere credibili fatti che di per sé appaiono incredibili? Non voglio risolvere questi interrogativi. Io dico soltanto che ora questa assenza ci duole: perché anche i fatti più semplici ed umili possono sempre venire offuscati dalla “stupidaggine” e dalla “bassezza” quando non esistono testi, cioè testimonianze scritte».


A partire dalla ripresa della stampa periodica, gli estremi di un implicito paragone fra la condizione poetica italiana, considerata come insufficiente nel suo apporto alla battaglia patriottica, e quella francese, segnata al contrario da un periodo di grande mobilitazione, furono subito nell'aria. Secondo una comune opinione critica allora (e ancora) vigente, i francesi avevano opposto all'occupazione tedesca un notevole fervore creativo, facendo quanto alcuni commentatori italiani avrebbero desiderato veder accadere anche in patria.


Fra gli argomenti di quanti si schierarono dalla parte di una rifondazione poetica, venne subito ventilato il paragone a cui Montale aveva sentito istintivamente il bisogno di rispondere riconsiderando al ribasso il fascicolo del rapporto potere-cultura nel ventennio. La domanda che sembrava prendere forma sulle pagine delle riviste che riattivavano con difficoltà il dibattito era infatti: perché il surrealismo è riuscito a trasformarsi tempestivamente in poesia della Resistenza, mentre la poesia italiana (soprattutto la tendenza cosiddetta ermetica) non ha potuto conseguire un esito analogo?


Un tale interrogativo, così formulato, è certamente troppo netto per descrivere con precisione lo stato d'animo di quanti provassero a ricostruire la complessa vicenda della poesia italiana fra anni Venti e Quaranta con una certa obbiettività, e senza voler cedere troppo all'esempio francese, considerato sempre con una certa dose di “agonismo” nazionale. Ma gli elementi di una tale domanda, seppure composti in un ragionamento problematico, sono utili a comprendere la parabola che portò a puntualizzazioni come quelle sopra ricordate. Prendiamo l'esempio di «Aretusa», prima rivista italiana ad attivarsi nel dopoguerra. Nel numero inaugurale viene proposta una critica alla poesia surrealista ed ermetica di origine francese, di cui il direttore Francesco Flora ripercorre la storia, dichiarandone infine la sostanziale inattualità, ed accogliendo con favore la notizia di un cambio di direzione verso argomenti di stampo civile: «Che un gruppo così pugnace di antichi surrealisti combatta oggi per il risorgimento della Francia e per la civiltà umana è indizio della sincerità vitale che moveva, nei migliori, l'esperienza surrealista».


 

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Pubblicato
2021-07-25
How to Cite
MILIUCCI, Fabrizio. La poesia della Resistenza francese nel dibattito sulle riviste italiane del Dopoguerra. Ticontre. Teoria Testo Traduzione, [S.l.], n. 15, lug. 2021. ISSN 2284-4473. Disponibile all'indirizzo: <http://www.ticontre.org/ojs/index.php/t3/article/view/459>. Data di accesso: 20 apr. 2024 doi: https://doi.org/10.15168/t3.v0i15.459.
Fascicolo
Sezione
Saggi